L’om salvagh

Chiara Dallavalle

La fine dei temporali che hanno investito il Verbano a luglio ci ha finalmente permesso di ritornare a camminare in montagna. La meta è un alpeggio della media Valle Anzasca a me sconosciuto: l’Alpe Cingora, raggiungibile sia partendo da Barzona di Calasca, sia da Pianezza di San Carlo. Noi scegliamo questa seconda opzione senza sapere che la salita è intensa e non ci darà tregua fino all’arrivo nell’alpeggio. Lasciamo l’auto nel piccolo parcheggio accanto alla Chiesa di San Giulio e, dopo pochi passi, imbocchiamo il sentiero per Cingora. Subito iniziamo ad inerpicarci nel fitto bosco, benedicendo l’ombra degli alberi che ci regala un po’ di frescura e ci risparmia dal calore del sole di agosto. Ogni tanto si apre un breve scorcio tra gli alberi da cui godiamo della splendida vista sulla vallata, ma subito la traccia rientra nel fitto del bosco. Quasi al termine della salita il sentiero imbocca un’estesa faggeta e l’aria si fa più leggera, senza l’intricato sottobosco di felci e altre erbe selvatiche. Una scultura scavata nel tronco di una betulla tagliata, che raffigura un uomo con una lunga barba, ci accoglie a Cingora.

Il volto dell’uomo mi ricorda un archetipo folklorico ricorrente in Val d’Ossola e in tutto l’arco alpino: l’uomo selvatico o om salvagh nei dialetti locali. Questa figura leggendaria, abitante dei boschi, ha radici antiche. Ovidio nelle Metamorfosi parla del Silvano Montano, mentre Tacito accenna ad un personaggio mitico delle selve germaniche, ricoperto di pelli, che guida il corteo dei morti (Beccaria 1995). Nel folklore italiano, l’uomo selvatico è un genio dei boschi, appare vestito poveramente oppure con il corpo completamente ricoperto di foglie e licheni, la barba e i capelli lunghi, e spesso in mano stringe una clava. Nel folklore ossolano l’uomo selvatico viene dipinto come un essere mite e di buon cuore, che alla peggio, se trattato malamente, si rifiuta di condividere le proprie conoscenze e scompare nel bosco. Secondo Paolo Crosa Lenz, per i valligiani è “un elemento naturale, una presenza con la quale coesistere nella dura vita d’alpeggio. È una parte attiva del microcosmo dell’alpe, come le mucche, gli alberi e i torrenti” (Crosa Lenz 2012:58).

Come i nani, anche l’uomo selvatico è depositario di saperi e conoscenze di cui mette a parte gli uomini, anche se questi a volte lo deridono e gli giocano brutti scherzi. È da lui che i valligiani imparano quei segreti fondamentali per la vita in alpeggio, come lavorare il latte e falciare l’erba su pendii scoscesi. La capacità di influenzare negativamente o positivamente il latte è comune a molti personaggi fantastici delle Alpi, come le streghe che hanno il potere di far inacidire il burro, o i folletti che, se irritati dagli uomini, diventano dispettosi e gli arrecano danni, facendo guastare il latte o impedendo la cagliatura. È chiaro che il latte, nell’economia agro-pastorale delle valli alpine, costituisce un elemento vitale per la sopravvivenza dell’uomo, ed è quindi il più esposto ai tiri mancini delle entità maligne che circolano in montagna.

Un’altra caratteristica dell’uomo selvatico sono i piedi. Nelle Alpi Marittime si credeva che i suoi piedi fossero piccoli e con zoccoli caprini (Beccaria 1995), mentre in una leggenda raccolta da Paolo Crosa Lenz ad Anzola si narra che avesse i piedi all’indietro. Entrambe queste caratteristiche sovrappongono la figura dell’uomo selvatico a quella del demonio, entrambi esseri sovrannaturali con poteri straordinari e depositari di saperi arcani, capaci di influenzare gli elementi naturali in favore o sfavore dell’uomo.

Sicuramente l’om salvagh rappresenta l’incarnazione della natura selvaggia con cui i montanari dovevano ogni giorno combattere ma anche coesistere. In montagna la natura annichilisce con la sua magnificenza ma sa essere anche pericolosa e fatale per chi non le porta il dovuto rispetto. È il luogo in cui il mondo degli uomini si fonde con quello sovrannaturale, ed è per questo popolata di esseri fantastici, alcuni maligni e temibili, altri giocherelloni e di animo mite. Il valligiano si trovava quindi immerso in una dimensione estremamente reale ma al tempo stesso trascendente, dove la natura esprime tutta la propria sacralità, regalando all’uomo tutto ciò che gli serve per la sopravvivenza, ma chiedendo in cambio rispetto e devozione.

Note tecniche

Valle Anzasca_mappa.jpg

Si parte da Pianezza, frazione del Comune di Vanzone - San Carlo, e in poco più di un’ora raggiungiamo l’Alpe Cingora coprendo un dislivello di circa m 600. Da lì scendiamo a Barzona seguendo un facile sentiero che attraversa l’Alpe Cresta e passa accanto alla minuscola ma molto panoramica Chiesa della Madonna del Sassello. Dopo aver percorso i viottoli della frazione di Barzona, imbocchiamo sulla destra il sentiero che ci riporterà a Pianezza. Quest’ultimo percorso è in falsopiano, ma paradossalmente in alcuni tratti risulta quasi più faticoso della salita perché il versante della montagna è particolarmente ripido e il sentiero vi è letteralmente inciso.

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