
Agli albori della storia dell’uomo non vi era alcuna distinzione tra mondo naturale e dimensione divina, il mondo naturale era inteso come l’incarnazione stessa della Dea
Anni fa mi sono imbattuta in un libro meraviglioso, “Il linguaggio della Dea” dell’archeologa lituana Marija Gimbutas, che mi ha introdotto ad una visione del mondo naturale mitica e mistica allo stesso tempo.
Gli studi di Marija Gimbutas raccontano di un tempo arcaico, il Neolitico Antico, e cercano di tracciare un filo interpretativo delle testimonianze archeologiche di quel periodo, anche attraverso le figure e i simboli arrivati fino a noi attraverso il mito ed il folklore. Quello che emerge è una rappresentazione dell’universo vivente come realtà divina incarnata nell’immagine della Dea-Madre Creatrice. Questo testimonia innanzitutto il fatto che le popolazioni preistoriche dell’Europa Antica (perché questo è il contesto geografico dentro cui Marija Gimbutas ha realizzato i propri studi) fossero profonde conoscitrici dei fenomeni naturali, che osservavano non solo con attenzione ma anche con venerazione e rispetto. Ma al tempo stesso sostiene l’idea che agli albori della storia dell’uomo non vi fosse alcuna distinzione tra mondo naturale e dimensione divina. Al contrario, il mondo naturale era inteso come l’incarnazione stessa della Dea, che esiste in quanto manifestazione del mistero di nascita, morte e rigenerazione, e vivere assecondando i suoi ritmi significava vivere in una dimensione sacra pervasiva e immanente.
L’archetipo della Dea dell’Europa antica è costruito attorno al simbolismo della ciclicità della vita stessa, laddove l’Universo è in continua trasformazione attraverso fasi di rinnovamento dinamico, e tutti gli esseri viventi ne sono parte integrante, senza esclusione alcuna.
Come ben dicono Anne Baring e Jules Cashford nel loro libro “Il mito della Dea”, “La Dea Madre, ovunque la si trovi, è un’immagine che ispira e focalizza la percezione dell’universo come un tutt’uno vivente e sacro, in cui l’umanità, la Terra e tutto ciò che ci vive partecipano come ‘suoi figli’. Ogni cosa è tenuta insieme in una rete cosmica, dove tutti gli ordini della vita, manifesti o immanifesti, sono in relazione, poiché tutti condividono la santità della sorgente originaria”1. Oggi noi viviamo con la consapevolezza che la natura sia qualcosa di completamente distaccato dal genere umano, che troppo spesso si sente autorizzato a disporne a suo piacimento. Questo processo di reificazione del mondo naturale è iniziato nel momento in cui la dimensione divina e quella fisica sono state scisse, e la materia è stata retrocessa ad un grado inferiore rispetto allo spirito. Nell’iconografia della Dea, invece, non esiste una divinità che trascende la materia, ma al contrario il sacro è immanente e si manifesta in tutte le forme fisiche del mondo naturale.
Questa immagine, sopravvissuta fino ai giorni nostri nei miti e nel folklore di tutta Europa nonostante i continui tentativi del genere umano di estirparla dalla propria coscienza, ci ricorda che ancora oggi abbiamo bisogno di comprendere l’Universo come un’unità e come il luogo in cui il sacro si svela, e che soltanto il recupero di queste radici vitali della nostra esistenza può donarci speranza per il futuro.
1 A. Baring, J. Cashford. 2017. Il mito della Dea. Evoluzione di un’immagine. Venexia, Roma (p. 3).