L’anima degli alberi

Ogni tanto mi capita di lasciar andare l’immaginazione a briglia sciolta e provare a figurarmi il paesaggio prima che l’uomo mettesse piede sulla Terra. Mi appare allora un territorio completamente incontaminato e lussureggiante, un luogo in cui regnava il silenzio assoluto dai rumori dell’uomo ma che al tempo stesso era completamente pervaso dal rumore assordante di infinite forme viventi. Uno spazio in cui esistevano gigantesche foreste primordiali, “le cui poche radure dovevano apparire come isolotti in un oceano di verde” (Frazer 1992:138). Anche dopo l’avvento del genere umano, per lungo tempo il mondo ha continuato ad essere dominato dal regno vegetale, e ancora al tempo dei Romani, non soltanto l’Europa centrale era ricoperta da un immenso manto forestale, ma anche la nostra pianura Padana era un unico fitto bosco di olmi e querce, impervio e misterioso. Oggi non resta più nulla di quel tempo arcaico: la Pianura Padana è una desolata distesa di centri abitati, capannoni e campi di mais, dove resistono isolate aree boschive; ma anche le aree alpine e prealpine, dove fortunatamente si ha una maggiore presenza di boschi, sono ormai profondamente antropizzate. Eppure, ci sono luoghi in cui ancora si respira l’aria densa delle foreste antiche, e dove la selva è rimasta un labirinto arboreo in cui è ancora oggi è facile perdersi. È la Val Grande, uno spazio fisico in cui il bosco, scuro, umido e selvaggio, è il grande protagonista. Un bosco giovane, certo, cresciuto liberamente dopo l’abbandono dell’uomo a partire dagli anni ’60, quando l’intenso sfruttamento del legname terminò e le popolazioni locali iniziarono a lasciare questo territorio così aspro e difficile da abitare. Da allora la natura è tornata padrona e gli alberi hanno ricostruito il loro manto intricato, sommergendo ogni cosa.

L’itinerario di oggi, proposto dall’amica Elena, ci porta ad esplorare la Bassa Val Grande, partendo da Rovegro e risalendo a Cossogno attraverso il bel Ponte Romano sul torrente San Berardino. Da Cossogno a Miunchio il sentiero è ampio e facile da percorrere: una strada lastricata che si snoda seguendo le volte della montagna in un leggero sali e scendi. Ma quando da Miunchio imbocchiamo la traccia che scende verso Ponte Casletto, ecco che il tuffo nel selvaggio è immediato. La vegetazione si fa subito rigogliosa e ci avviluppa nelle sue spire come un serpente. Gli alberi ci avvolgono con le loro ampie chiome e in alcuni tratti l’ombra è totale. Sembra quasi di percepire il respiro di questo immenso organismo collettivo, dove ciascun individuo è in relazione costante agli altri. Nell’interessante testo di Peter Wohlleben, “La vita segreta degli alberi” si trovano cenni alle capacità comunicative degli alberi, che si contattano tra loro tramite gli apparati radicali, lo scambio di messaggio olfattivi ma anche la produzione di specifiche frequenze sonore (Wohlleben 2015). Recenti scoperte scientifiche rivoluzionano completamente il nostro modo di intendere il mondo arboreo, presentandoci gli alberi come un’entità vivente non solo in termini biologici ma anche secondo un’accezione squisitamente umana: esseri capaci di comunicazione, sensibilità e memoria.

La scienza sembra così riconciliarsi con il folklore, con quelle rappresentazioni del mondo vegetale proprie delle società arcaiche, secondo le quali gli alberi non solo possiedono un’anima ma sono luoghi in cui il sovrannaturale entra in contatto con l’umano. Fin dalla remota antichità, da Oriente a Occidente senza distinzione alcuna, la foresta è il luogo per eccellenza in cui si percepisce la presenza divina, dove è impossibile sottrarsi al mistero della vita che pulsa in ogni dove, e dove pertanto il contatto con il sacro è immediato. Non stupisce quindi che il bosco sia stato il primo tempio dell’uomo e gli alberi sacri il tramite per entrare in relazione con il divino. Il culto degli alberi rendeva tali esseri degni di reverenza, al punto che il loro taglio era assolutamente proibito e sanzionato con punizioni severissime, oppure strettamente regolamentato da forme rituali per non inimicarsi l’entità divina arborea. Frazer racconta che presso gli antichi Germani, a chi avesse osato strappare la corteccia di un albero del boschetto sacro, “si tagliava l’ombelico, che veniva inchiodato all’albero nel punto in cui lo aveva scortecciato, poi il malcapitato veniva fatto girare e rigirare intorno alla pianta profanata fino a che le sue viscere erano completamente avvolte al tronco, evidentemente allo scopo di sostituire la corteccia morta con una viva, presa dal colpevole: vita per vita. La vita di un uomo per quella di una pianta” (Frazer 1992:140).

La severità con cui si puniva chi osava arrecare danno ad un albero del bosco sacro è indice dell’estrema importanza che veniva attribuita agli alberi in generale, visti come indispensabili per il sostentamento dell’uomo. Questo non solo in quanto necessari per l’approvvigionamento della legna e di frutti commestibili, ma anche perché garanti dell’equilibrio cosmico sulla Terra. I Lituani credevano ad esempio che nei boschi sacri dimorasse la divinità che mandava loro il sole e la pioggia, e tali boschi andavano quindi preservati per non sconvolgere i fenomeni atmosferici che consentivano la vita. È interessante notare come recenti studi scientifici dimostrino che il bosco svolge davvero una funzione di pompa idraulica, in quanto capace di rilasciare nell’atmosfera enormi quantità di vapore acqueo che contribuisce alla formazione di nuvole cariche di acqua, che poi torna a terra attraverso le piogge (Wohlleben 2015). In tempi di siccità estrema come quelli che stiamo attraversando, è fuor di dubbio che il disboscamento incontrollato contribuisca enormemente all’instaurarsi di climi aridi.

Viene allora da chiedersi se quelle che, dall’alto del nostro arrogante senso di superiorità, abbiamo tacciato come credenze e superstizioni ignoranti non abbiano in realtà un fondo di verità e non siano invece rappresentazione di un legame vitale tra uomo e natura, legame ormai spezzato. Il bosco e le foreste sono ecosistemi estremamente complessi, in cui le interrelazioni tra gli esseri viventi che li abitano sono ancora in buona parte sconosciute. Ma certamente la ricerca recente in questo ambito dimostra sempre di più che gli alberi sono esseri con caratteristiche molto più vicine a noi di quanto pensiamo, con un senso della reciprocità e del mutuo sostegno che l’uomo ultimamente sembra aver dimenticato (Mancuso 2017). E il senso di smarrimento che proviamo quando entriamo in una foresta è tale che davvero viene da chiedersi se non sia lì che abita la nostra parte più profonda e antica.

 

Note tecniche

Il punto di partenza è la piazza di Rovegro, da dove raggiungiamo in breve tempo Cossogno, salendo una ripida strada lastricata e coprendo un dislivello di circa 150 m. Da lì raggiungiamo il Santuario di Inoca, dove sostiamo per circa un’ora dando spazio alla pratica dello Yoga Kundalini. Proseguiamo poi imboccando il sentiero per Miunchio salendo di altri 150 m circa, e quando giungiamo in prossimità dell’alpeggio iniziamo la discesa fino a Ponte Casletto. Da lì in due ore circa di cammino lungo la condotta dell’acqua, ritorniamo a Rovegro, con una piacevole pausa per un tuffo nel torrente!

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